LA MIA STORIA CON SACHA

LA PASSEGGIATA

 

 

Dopo un acquazzone violento con grandine e vento, il cielo si presenta a metà mattina, terso e leggero con nuvole spumose, appena appesantite in basso da sfuma­ture grigie. Usciamo. Sacha fiuta l'aria, beato. Starnuti­sce perché le narici sono state piacevolmente sorprese dal vento frizzantino che porta con sé gli odori. Sulla mattonata scodinzola. Prende la salita con slancio, quasi con ardore. Ogni tanto si volta come per rassicurarsi che io lo stia seguendo. L'edera brilla di sole. Le ginestre senza fiori sono coperte da un alberello nascente di quercia. Nel solito punto erboso marca iI suo passaggio e poi cerca le lucertole nei loro nascondigli segreti, sotto le pietre.

É un giorno di mezza estate. Mi soffermo a pensare quante volte abbiamo percorso insieme questa strada, con la pioggia, con il sole, con la neve, con la foschia brumosa e lui sempre beato, felice del giorno nuovo, feli­ce di me, felice della vita.

Ora trotterella davanti a me, con passo leggero, poi prende la corsa. Mi piace richiamarlo. Si volta, corre tra le mie gambe per ricevere carezze. Sono felice in questi momenti. Sento che ha bisogno di me, che vuole mostrarmi la sua riconoscenza ed il suo affetto. Quando raggiungiamo il percorso ginnico del Righi, tracciato a mezza costa, la vegetazione si fa più folta di cipressi, pini marittimi, querce, fichi, noccioli e sul terreno fanno tappeto aghi di pino, parietaria e piantine di fragole sel­vatiche. Gli alberi da un lato e dall'altro si inclinano e in alto congiungono i loro rami. In alcuni punti restano in rispettosa distanza per aprirsi verso il cielo. Nel sottobo­sco crescono, sempre più diffuse, infiorescenze bianche fatte ad ombrello; le pigne sui pini che hanno perso per la più parte le loro foglie aghiformi, sono disposte a lisca di pesce e sembrano uccelli pietrificati. L'edera corre rigogliosa e tenace sui tronchi degli alberi. Sacha mette il naso nell'erba Luisa odorosa e schiva le foglie pungenti dei cardi. A piante rigogliose si mescolano, nella bosca­glia, piante deboli e malate. Lo seguo con lo sguardo: si inerpica sulla pietraia addolcita da cespugli di erbe selva­tiche e dalla ginestra e mi guarda dall'alto per riprendere poi la corsa seguendo sentieri inesistenti fatti solo di odori e profumi.

Le radici degli alberi escono, ora, allo scoperto, sui pietroni grigi, in un groviglio cli forme strane ma Sacha sa bene come tuffarsi beato nella radura erbosa sovra­stante. Conosce ogni pietra, ogni cespuglio, ogni odore. Io riconosco solo nei miei pensieri, un po' monotoni, ansio­geni. Solo a volte euforici per qualche risposta insperata ai desideri del mio cuore. E mi sorprendo spesso distrat­ta. Nello scenario della mia mente, però, come sottofon­do, Sacha c'è sempre: lo seguo inconsapevolmente nel suo accoppiamento orgiastico con la natura mentre non si sa come, lui riesce a tener d'occhio anche me, con pron­tezza fiera. Si tuffa nelle spighe d’erba già secche della radura più soleggiata e poi beve con avidità e con sem­plicità alla fontanella, scodinzolando. Come meta più ambita della passeggiata si apre, dopo l'ultima curva del percorso, la radura dei fagiani, in mezzo al bosco dei pini marittimi. A nord si vede la fitta boscaglia e, a sud, tra il verde, si scorgono come piccole cartoline o tessere scom­poste di un puzzle, scaglie di mare, angoli della mia città ed angoli del porto: una nave, un molo, una gru. Ora, improvvisamente, Sacha scompare per dedicarsi alla sua prediletta caccia, naturalmente proibita dalle autorità locali con vistosi cartelli.

Io sfido le ammende per farlo felice e non lo richiamo sapendo che la caccia del mio cane non comporterà l'uccisione della selvaggina bensì solo un volo rumoroso da un punto della radura o eia un punto della boscaglia all'altro.

Quando ritorna, ansante e felice. ci troviamo al "termi­nal" del percorso: faccio una giravolta intorno alla spal­liera di tronchi d'albero e ritorno, punto e a capo, sul mio pensiero concentrico. Ogni tanto il ronzio di un calabro­ne o di una vespa mi distrae e scorgo, tra i rovi, i lamponi maturi. Sollevo lo sguardo sulla veduta larga di una parte della città affacciata sul porto, lato levante, mentre il sole, ormai a mezzogiorno, separa nubi bianche da nubi grigie e illumina più in basso strisce piatte di mare e spume cangianti verso un orizzonte che non si vede: un piccolo rimorchiatore conduce infatti verso una bruma di un colore indefinito, argento-luce.

Sulla via del ritorno, il Forte Sperone, solitario con la vegetazione spontanea e selvaggia che spunta da dietro i suoi torrioni, domina il mezzogiorno, la passeggiata a mezza costa e il mare. L'immobilità della pietra, l’immo­bilità di quello specchio di mare lontano, contrastano, nel silenzio, con il pulsare vivo, ordinato, della vita di Sacha che scodinzola festoso sulla via del ritorno, odorando, di tanto in tanto, muschi antichi e muschi nuovi sulle rocce.

 

Dal mio diario:

"Ci arrampicavamo verso il “Righi" / il forte brillante nella pietra / e le ginestre sul tuo muso / tra le tue zampe /l e mie scarpe / i miei jeans / dietro di te / nell'aria, nel sole."

 

 

 

 

AL CANILE MUNICIPALE

 

 

Non saprei dire in modo preciso, oggi, perché decisi, quel giorno, di farmi accompagnare al canile municipale.

Prima di allora non avevo mai avuto una particolare predilezione per gli animali cosiddetti da compagnia.

Quando incontravo un cane per strada non vi badavo quasi. Ero indifferente. Appartenevano ad un mondo a me lontano. A ben pensarci, ritrovo soltanto una memo­ria di quando ero bambina.

Il mio papà mi raccontava di due cani di razza che i suoi zii e il suo papà, mio nonno Corrado, tenevano in campagna per le loro battute di caccia. Uno dei due, un giorno, rimase coinvolto in un aspro combattimento con un gatto e perse un occhio. Non serviva più per la caccia e fu quindi portato in un casolare in aperta campagna, distante dalla villa alcune decine di chilometri.

Il nonno e gli zii scoprirono un giorno e riverificarono i giorni seguenti, un fatto singolare. Il cane in buona salute ogni giorno prendeva un osso dalla sua razione giornaliera e, sul primo pomeriggio, di gran carriera, percorreva tutta la strada che separava la villa dal caso­lare, per portare l'osso al suo sfortunato simile, ex compagno di battute di caccia. Ascoltando il racconto, immaginavo questi cani da caccia con le orecchie pen­zoloni e il pelo maculato, uno in corsa per sentieri pol­verosi sotto il sole, l'altro in fiduciosa attesa nella sua cuccia, a! casolare.

Ricordo ancora che provai, più tardi, un vago deside­rio cli possedere un cane, possibilmente di pura razza cocker, ma, nella piena consapevolezza che tale deside­rio, nella mia famiglia di allora, sarebbe rimasto tale e irrealizzabile.

 

Vedo Sacha nella sua gabbia, a sinistra rispetto all'ingresso principale del canile.

Appena mi vede si mette a saltare, quasi appeso alle inferriate di ferro, arrugginite, fino a toccarne le estremità. Sul cartello appeso fuori, una scritta: "cane caratteriale", e il suo nome, SACHA.

Chiedo di poterlo portare a spasso per una breve pas­seggiata anche se non appartengo al gruppo dei volontari ciel canile. Mi viene concesso e mi porgono un corto guinzaglio di cuoio.

Aprono la porta della gabbia, aggancio il guinzaglio al collare e lo porlo a fare un breve giro nella squallida periferia che circonda il canile.

Sacha tira con una forza incredibile, si vede che è spa­ventato, inquieto.

Torno al canile parecchie volte durante i giorni seguen­ti. Non ricordo particolari emozioni o sensazioni di quel periodo, soltanto il bisogno di ritornare alla stessa ora al canile per accompagnarlo nella passeggiata.

In famiglia, quando si accorgono della mia nuova occupazione, cominciano le critiche e le lamentele:

“Con tutti gli impegni che hai non vorrai per caso pren­dere un cane per affibbiarlo poi alle cure di altri che non ne hanno la minima intenzione?! Non conosci i cani, non ne hai mai avuto. Non ti rendi conto di cosa può significare prendere un cane in casa e per giunta un cane difficile!''.

Sono sfiduciata, sul punto di rinunciare. Riesco a tra­scorrere due giorni senza andare al canile. Il terzo giorno cedo e ritorno. Una settimana dopo mi trovo a sfogliare la rivista "Le Cose'' in cerca di una cuccia per cani. Fac­cio sistemare un resistente filo di ferro in giardino con una carrucola utile ad agganciarvi il guinzaglio del cane nel caso si manifestasse un improvviso istinto di fuga. Il giardino da un lato è sprovvisto di cancellata e le precau­zioni si rendono necessarie. Senza dire niente a nessuno decido il giorno del prelevamento di Sacha dal canile. Dopo aver espletato le formalità burocratiche previste e ritirato il suo foglio d’identità, “cane meticcio razza set­ter pointer, età mesi 9”, lo sistemo nel bagagliaio dell'auto e avvio il motore. C'è un sole tiepido. Settem­bre volge alla fine.

So di fare, come al solito, un qualcosa di poco raziona­le, di essere un po' incosciente. Al semaforo mi volto per guardarlo. Ha la bocca aperta, ansima di gioia, la lingua a penzoloni. Nessuno ha mai visto un cane ridere, alme­no credo, ma a me sembra proprio così. Sacha ride. Libe­ro. felice. Anch'io ovviamente sono mollo felice.

 

Dal mio diario:

"L'inspiegabile, il non previsto, a volte succede: /Qualcosa di piovuto dal cielo, / se volete: / Può essere una stella cadente / una vincita al gioco / incontrare l'Amore. /

A me è capitato, un bel giorno, di portarmi a casa / un cane / abbandonato, / certamente battuto, / non di pura razza, / difficile. / Con un piccolo, grande cuore / con una piccola, grande mente.''

 

 

 

 

FINE SETTIMANA AD ALBA LA ROMAlNE

 

 

È trascorsa una settimana esatta da quando partii in tutta fretta da Ginevra per poter raggiungere Genova ed assistere Sacha nei suoi ultimi momenti di vita.

Mi trovo ora sul treno che da Montelimar mi sta por­tando a Lione. Da Lione proseguirò per Ginevra.

Le immagini collegate ai pensieri e alle emozioni si susseguono in una sequenza a-temporale.

Ho trascorso un lungo week-end in Ardèche, regione sud orientale della Francia dove sono stata ospite della mia amica Georgette. Sono fuggita letteralmente da Ginevra, città completamente deserta nel fine settimana. Non avrei potuto resistere nella solitudine più completa, al rimpianto e alla tristezza.

Georgette è una donna singolare, colta, dissacratrice, contro corrente, amante del bello in ogni forma esso si pre­senti. Spesso invia cartoline che il più delle volte contengo­ messaggi cifrati che anticipano situazioni ed eventi.

L'ho interrogata a questo proposito, le ho chiesto se, per caso, ha mai avuto coscienza cli avere particolari qua­lità sensitive. Mi ha risposto semplicemente che sì, qual­che volta ha delle intuizioni, dei presentimenti su fatti e persone e non ha aggiunto altro. In ogni caso io la riten­go una donna molto positiva.

 

È la mattina del giorno della morte di Sacha. Prima di andare al lavoro trovo nella cassetta delle lettere una car­tolina di Georgette. Raffigura un angolo caratteristico dell’Ardèche, mura di pietra con una porta chiusa e lo scorcio cli un passaggio segreto in ombra, piante sponta­nee e due oleandri dai fiori rossi. Sembra un po' il mio giardino della casa di Genova. Guardo la cartolina e ho un attimo di commozione pensando a Sacha e alle sue soffe­renze dovute al tumore che gli ha aggredito i polmoni.

Durante la pausa-pranzo ricevo una telefonata dall'Ita­lia: il veterinario che lo ha seguito durante la malattia con serio impegno unito a grande sensibilità mi comunica il suo parere sulle condizioni di salute del mio cane: soffre troppo, il rischio di asfissia è imminente e reale. Non resta che procedere all'eutanasia. Rispondo dando il mio assenso. Ritengo che fare attendere il mio arrivo sia inuti­le, egoistico e crudele prolungando una sofferenza inutile.

Mi raggiunge la telefonata di mio figlio Andrea che perentorio mi dice: "Torna a casa. Sacha deve morire nel suo giardino e con te accanto."

 

Ad Alba La Romaine, nella chiesetta di Sant'Andrea, la domenica mattina la messa è cantata, il prete anziano, pochissimi i fedeli. Fuori le mura un brulichio di persone si agita intorno ai tanti, vecchi oggetti del mercato della "brocante" in occasione della festa del vide grenier, "vuota il granaio".

 

 

Continua...

 

 

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